All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora…
questi due termini sono, per quanto riguarda il significato, abbastanza simili, e fanno parte stabile del vastissimo vocabolario del dialetto napoletano; però hanno sfumature e origini molto diverse.
Ammuìna
Si intende chiasso, confusione, disordine, ostentazione di laboriosità. Attorno a questo termine si è diffusa una leggenda legata a un editto, a una procedura ufficiale – sembrerebbe – della Real marina Borbonica, come recita il testo a seguire:
EDITTO
« All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora:
chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio passann’ tutti p’o stesso pertuso:
chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à”.
N.B.: da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno. »
(Traduzione)
« All’ordine Facite Ammuina, tutti coloro che stanno a prua vadano a poppa e quelli a poppa vadano a prua;
quelli a dritta vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a dritta;
tutti quelli sottocoperta salgano sul ponte, e quelli sul ponte scendano sottocoperta,passando tutti per lo stesso boccaporto; chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là. »
Alcuni creduloni attribuiscono l’origine di questa usanza a qualche pigro sottoufficiale che impartiva questo ordine ai propri marinai all’avvicinarsi di qualche ufficiale, in modo da non farsi trovare addormentato durante il turno di servizio dai propri superiori; altri addirittura identificano il fare ammuìna come diversivo utilizzato dalla ciurma in battaglia per confondere l’equipaggio dei vascelli nemici. La leggenda sembra sia stata inventata e diffusa dalle truppe “savoiarde” per gettare discredito sulla nemica marineria borbonica, ottenendo però l’effetto opposto di imperitura memoria. L’etimologia è poco certa, ma si propende per il termine spagnolo amohinar che significa infastidire.
Jacuvella o ghiacovella
Si tratta di un termine antichissimo, presente fin dal sec. XIV e ss., non è però desueto ed ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato principalmente sia nell’alta Irpinia che nel napoletano. Il significato è abbastanza vasto e partendo dal comportamento superficiale, cosa poco seria, modo di agire che genera confusione, inconcludenti tira e molla, giungono all’ intrigo, pretesto, banale astuzia, sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il vocabolo che fu usato per indicare dispettucci da innamorati, vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quelle moine che erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle (ceci in ammollo, una bellissima immagine figurata dei ceci che ballonzolano sul pelo dell’acqua nella pentola) ; piú spesso comunque la jacovella, jacuvella o ghiacovella indicò l’intrigo, la trama piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca, semplicistica.
Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella, alcuni, in maniera non troppo convincente, fanno derivare la jacuvella dal latino jaculum= dardo trovando una connessione tra il dardo di Cupido e i vezzi o dispettucci tra innamorati; sembra invece più calzante l’accostamento, in ambito teatral-marionettistico, alle cosiddette gherminelle, le azioni sceniche di un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo); Giacomo che poi altro non era che l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale si soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni furono le jacovelle jacuvelle o, con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato indossato dai contadini.
Infine c’è anche l’espressione fà jacovo, jacovo (cioè far giacomo giacomo) riferito all’atteggiamento di chi in preda alla paura tremi nelle gambe, deriva appunto da uno dei consueti modi di deambulare di quello sciocco e semplicione personaggio che fu il contadino francese Jacque da noi Jacovo/Giacomo o semplicemente per il modo di far dondolare le gambe della marionetta.
Insomma Spagna e Francia ancora una volta risultano determinanti nella struttura della lingua e della cultura napoletana.