Asteco vattuto… il lastrico in battuto, trionfo degli architetti-contadini

Una delle immagini che ricordiamo con piacere dopo una vacanza nelle isole, insieme al mare e ai panorami mozzafiato, sono le tipiche casette con i loro elementi stilistici. Questi manufatti sono l’insieme di una serie di soluzioni determinate da diverse esigenze pratiche. Arcate, volte, scalette svolgono prima di tutto compiti funzionali e solo in un secondo momento estetici. In questo caso approfondiremo la tipica copertura delle abitazioni, l’asteco vattuto

Le esigenze principali per chi vive in una piccola isola del basso Tirreno sono sempre state quelle di raccogliere e conservare la preziosa acqua piovana e di isolarsi da calura estiva o umidità invernale. Se alla prima assolve la cisterna interrata, è solo grazie alla seconda – l’astico vattuto appunto – che il sistema funziona. Le tipiche coperture estradossate di queste abitazioni possono essere a botte o a forma di piccole cupole emisferiche dette à carusiell’. (a cupolina)

Attrezzi per pentonariMa quello che stupisce è la tecnica costruttiva della coperture. il tutto avveniva secondo canoni ben precisi. Dobbiamo parlare al passato, purtroppo, come capirete leggendo l’articolo. L’intelaiatura era in legno con pali di castagno e curvature formate con fasci di tralci di vite (pennicilli). Argilla e pietra pomice per la copertura e calce aerea o grassello come legante. Il risultato è un conglomerato di consistenza plastica adatto per una posatura anche su pendenze significative. L’impasto veniva lasciato riposare per diversi giorni con periodici rimescolamenti ed eventuali aggiunte di grassello disciolto. Una volta ottenuto il benestare del “mastro calciaiolo”, si procedeva col getto in un’unica soluzione sul supporto ligneo. A questo punto cominciava il fondamentale lavoro di battitura (vattitura) del lastricato (asteco) da parte dei cosiddetti “pentonari”. Questi operai tramite bastoni in legno con l’estremità inferiore allargata (Pentoni o Mezzeranghe) per circa due giorni comprimevano l’impasto bagnandolo man mano, secondo l’occorenza, con calce viva, in modo da renderlo completamente “chiuso” (impermeabile).

 

 

Guai a pensare che il lavoro fosse finito qui! Seguiva la fase di maturazione.

 

Tetti CERTOSA CAPRIPer tutto l’inverno successivo lo strato rimaneva coperto da uno strato di paglia zavorrata con terreno. Questa operazione era fondamentale per evitare che l’acqua residua nel battuto congelasse e l’asteco vattuto si riempisse di crepe. Solo in primavera si procedeva alla rimozione di questa protezione e il caldo estivo collaudava il tutto con le inevitabili deformazioni termiche.

Va da sè che un’operazione così lunga e complessa oggi risulterebbe antieconomica e antiquata. Per quanto le moderne tecniche di costruzione possano assicurare un medesimo livello di isolamento, sicuramente non reggono il confronto per i materiali naturali utilizzati, l’elasticità e la durata nel tempo.

Come riuscivano allora famiglie semplici a permettersi una lavorazione del genere? Eccezion fatta per il “mastro calciaiolo” e alcune maestranze specializzate depositarie delle formule e delle tempistiche, il grosso delle persone coinvolte nelle lavorazioni erano parenti, amici e vicini dei proprietari. Infatti in un’ottica di comunità locale la collaborazione partecipativa era forte e la manodopera si scambiava tra vicini a seconda delle esigenze. Il lavoro di “votare una lamia” (creare una volta, una copertura) diventa occasione di festa e, a fine lavori, si imbandivano tavole e si alzavano bicchieri tra canti e balli nei cortili, dedicati alla famiglia che aveva finalmente un nuovo tetto sulla testa.

C.M.Escher - Casa contadina tipica di Positano

Battitura dell'asteco a suon di clarino e tamorra

Per quanto ormai questa lavorazione sia scomparsa per esigenze di “tasca” e di competenza – come tutte le tradizioni di tipo orale, l’asteco vattuto è totalmente legato alla memoria e all’estro divulgativo degli ultimi anziani “mastri” architetti-contadini – tante sono le sue manifestazioni a livello artistico e folkloristico. Centinaia di pittori si sono lasciati ispirare dalle forme morbide e dai colori caldi delle case capresi. Esiste addirittura una danza, la “vattut’e all’asteco”, che riprendendo i movimenti dei pentonari, rievoca la costruzione dei tetti a ritmo di musica.

 

Un omaggio dovuto nei confronti di diverse generazioni di architetti-contadini, ma soprattutto di un modo di essere comunità, su cui tanti di noi dovrebbero riflettere.

 

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