Chill tèn’ artetec ‘ntu mazz

U Gesù Gesù, stu criatur tèn artetec ntù mazz! Si faccia avanti chi, da bambino – anche il più tranquillo – non si è sentito rivolgere, almeno una volta, queste parole da adulti sconsolati!

Ecco un altro esempio del grande mondo che si apre quando si usa il dialetto napoletano; infatti in questa frase sono presenti due termini in particolare, l'”arteteca” e il “mazzo” che in tanti utilizziamo ma di cui, in pochi (fino ad oggi…), conosciamo la provenienza.

L’arteteca (pronuncia artètec) consiste nella vivacità, l’irrequietezza, l’argento vivo (altra metafora) proprio dei ragazzini, fondamentalmente il non riuscire a stare fermi. Ebbene se cerchiamo l’origine etimologica dell’artetec, la troveremo in un termine greco, “arthritis”, che significa “infiammazione, irrigidimento delle articolazioni” e quindi, apparentemente, opposto alla smaniosa mobilità dei ragazzini; però se, per esteso, consideriamo quel tremolìo involontario che negli anziani è una frequente forma di esternazione a conseguenza delle infiammazioni articolari, ecco che l’artetec calza a pennello. La collocazione, poi, dell’artetec è varia, c’è, per esempio, anche chi artetec a ten mpont a lengua (sulla punta della lingua, cioè non sa stare zitto)

Invece il mazzo è una parola che, originaria del dialetto napoletano, è ormai largamente utilizzata e diffusa nel parlato quotidiano in tutta Italia. Il mazzo è sinonimo di fortuna, che, si sa, viene ‘collocata’ nel fondoschiena e infatti proprio a quella zona del corpo umano si riferisce il mazzo…. non fiori quindi, ma anzi…; etimologicamente la voce mazzo deriva dal latino matia(m)=intestino; la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dire mazza si dice mazzo;

I napoletani, come spesso succede, hanno saputo mettere insieme queste parole derivate da lingue diverse e impreziosirle col calore e la musicalità tutta partenopea.

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