Non tutti sanno che, nella Grotta di Matermania, intorno al 1740, venne ritrovata una lastra di marmo con la seguente iscrizione in Greco:
«O regione dello Stige, spiriti propizi che qui avete la vostra stanza, accogliete me pure, infelice, che morte repentina colse nel fiore degli anni e dell’innocenza. Me pure aspettavano i favori di Cesare; ma ora per me, per i miei genitori, non c’è più speranza. Non avevo ancor raggiunta l’età nè di venti, nè di quindici anni: non godrò più la splendida vista del sole. Ipato fu il mio nome. Fratello, genitori, ve ne scongiuro, non mi piangete a lungo».
Si tratta della chiara iscrizione funeraria per un ragazzo, Ipato, morto adolescente.
La lastra, oggi a Napoli, murata nella sala d’ingresso della Biblioteca dei Gerolamini, ha contribuito, per lungo tempo, ad alimentare l’oscura leggenda dei sacrifici umani al dio Mitra.
Secondo i moderni storici, invece, probabilmente si trattó di un servo di Tiberio morto per una disgrazia.
Ma, sulla prima torva versione, vi riporto le parole di Ferdinando Gregorovius, contenute nel suo “Passeggiate per l’Italia”:
<<Scendendo per un ripido sentiero, si giunge alla grotta enigmatica di Matromania, piena di rovine, ed a cui si accede per un ampio arco, che dà in una caverna larga circa cinquantacinque piedi e profonda circa cento. La grotta è opera della natura, ma la mano dell’uomo l’ha migliorata: tanto all’ingresso quanto nell’interno si vedono difatti ancora avanzi di mura romane. Dentro stanno disposti a forma di semicerchio due rialzi bianchicci, dei sedili; alcuni gradini portano ad una nicchia, dove probabilmente stava la statua del nume.
Tutto là fa pensare che la grotta sia stata ridotta ad uso di tempio. Il nome di Matromania, che il popolo con innocente ironia ha convertito in quello di Matrimonio, quasi Tiberio avesse celebrato ivi le sue nozze, si pensa che derivi da Magnae Matris antrum, oppure da magnum Mithrae antrum.
Si dice che il tempio fosse dedicato a Mitra, non tanto perché il dio persiano del Sole fosse venerato nella caverna, quanto per essersi scoperto in questa uno dei bassorilievi rappresentanti il mistico sacrificio di Mitra, tanto numerosi nel museo Vaticano. Io ne ho visti due negli Studi a Napoli, uno dei quali venne scoperto appunto in questa grotta, l’altro nella grotta di Posillipo. Rappresentano Mitra in ginocchio dinanzi al toro, nell’atto di piantargli il coltello nel collo, mentre la bestia viene ferita da un serpente, da uno scorpione e da un cane. Non è addirittura inammissibile che la grotta fosse dedicata a Mitra, essendo anche adatta al culto del sole, la sua apertura guardando verso oriente. Dalla sua profondità io potei vedere il sole che nasceva, imporporando i lontani monti ed illuminando il mare. La posizione romantica e selvaggia della grotta, le rovine dell’antico tempio, il culto mistico di Mitra, il profondo silenzio, la luce crepuscolare, lo stillare dell’acqua a goccia a goccia, e infine la vista stupenda del mare e della campagna, tutto contribuisce a produrre una profonda impressione di mistero, anche su chi nulla sa del culto di Mitra e della vita di Tiberio. In questa caverna misteriosa fu fatta la rara scoperta di una tavola di marmo con un’iscrizione in versi greci.
A quale orribile fatto possono alludere le parole misteriose di questa iscrizione? Vi è in questo un romanzo di Capri. La storia del povero Ipato è ignota, ma si può facilmente indovinare. In un’ora indemoniata, Tiberio sacrificò al sole il suo favorito, un giovanetto, qui, in questa caverna, davanti all’immagine del Dio, nella stessa guisa che più tardi Adriano sacrificò al Nilo il bellissimo Antinoo. In quei tempi i sacrifici umani, sebbene non frequenti, erano ancora in uso e venivano dedicati per lo più a Mitra>>.