Tra i tanti epiteti che nel dialetto napoletano si possono affibiare a una persona c’è anche quello di mamozio. Normalmente si apostrofa così una persona inadeguata, un pupazzo. Sì, forse in italiano la parola che corrisponde di più a mamozio è pupazzo. E incredibilmente l’origine di questo epiteto è legato a una specie di pupazzo Il mamozio come personaggio nasce a Pozzuoli.
Nel XVIII secolo la cittadina vicino a Napoli viene coinvolta dal grande programma di scavi archeologici che i permisero ai Borboni di fregiarsi di scoperte epocali come Pompei ed Ercolano. Ebbene, durante gli scavi per la costruzione della Chiesa di San Giuseppe fu rinvenuta una statua acefala, identificata con quella del politico romano Lolliano Mavorzio. Le autorità – cosa impensabile oggi – pensarono di “completare” la statua con una testa nuova. Però non si resero conto che la testa era sproporzionata rispetto al corpo, decisamente più piccola. Da quel momento il povero console romano divenne lo zimbello di tutti i passanti.
Come spesso succede i napoletani da una parte prendevano in giro il povero Mavozio, ma dall’altra se ne affezionarono. Ecco che nella deformazione dialettale, quella figura dalla faccia di ebete divenne Mamozio e fu addirittra eletto a santo. Infatti gli si dedicavano preghiere. Ridotto a nome comune viene citato anche nella supplica a San Gennaro: “Nun vulimmo a ‘nu mamozio ca nun tene autorità”.
Posizionata nella piazza del mercato di Pozzuoli, la statua riceveva le preghiere profane dei fruttivendoli speranzosi di concludere una buona giornata di vendite. Nei primi anni del XX secolo, poi, la statua venne rimossa e spostata nell’anfiteatro della città. Ciononostante il nome era entrato nel parlare comune dei napoletani.
Si cominciò a dare del mamozio alle persone goffe, ma anche ai creduloni. A chi è inadatto alla situazione, ma per estensione anche agli oggetti sgraziati
Un’ultima storiella narra che un contadino avrebbe portato un paniere di fichi per ingraziarsi il santo, e dopo avergli lanciato una manciata di fichi, notando che quelli maturi si appiccicano alla statua, mentre quelli acerbi cadono ai suoi piedi, abbia pronunciato una considerazione rimasta a proverbio: “Santu Mamozio mio, ‘e bbone t’ ‘e magne e ‘e toste m’ ‘e manne arrete”.