La tradizione napoletana è ricca di rispetto nei confronti del culto dei defunti, ma allo stesso tempo la tipica e naturale predisposizione a sdrammatizzare dei napoletani, ha fatto sì che, tra poesie, usanze e pratiche scaramantiche, il culto dei defunti occupi una parte importante della vita e della cultura di questo popolo.
In questo giorno che per ognuno di noi assume un significato particolare in ricordo di qualcuno che non c’è più, può essere interessante un approfondimento etimologico su un termine dialettale che evidenzia ancora una volta il forte collegamento tra le popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo.
La parola in questione è quella che in italiano si definisce bara o casa da morto, e che in dialetto napoletano (così come in tanti dialetti pugliesi e più genericamente del sud Italia) viene identificata con un termine assolutamente diverso: tavùt; questa parola deriva direttamente dall’arabo “tabùt” che significa“cassa”
Altri sinonimi di tavùt sono “cappott’ e lignamm” o “vestit senza sacch” lasciano poco spazio alla libera interpretazione e rientrano in un gergo più canzonatorio o offensivo.